Il miglioramento della scuola pubblica non si realizza attraverso i test

Qualità per una vera scuola pubblica, ma non attraverso i test

I docenti del Coordinamento “La scuola è di tutti” esprimono la loro contrarietà riguardo al Regolamento sul sistema nazionale di valutazione, approvato lo scorso 8 marzo dal Consiglio dei Ministri a Camere sciolte, sottoscrivendo la riflessione e le perplessità di altri coordinamenti e aderendo ai documenti dei colleghi degli Istituti Aldrovandi-Rubbiani di Bologna, Gritti di Venezia e Bachelet di Ferrara.

Consideriamo innanzitutto che, nella nostra attività quotidiana di formatori, ciò che verifichiamo attraverso un test è un tassello minimo del sapere di uno studente, e che dobbiamo per forza ricorrere a delle “domande aperte” per verificare se è in grado di compiere analisi e sintesi rispetto a ciò che apprende, nonché se è dotato di senso critico. I test invece sono pensati nella maggioranza dei quesiti come domande a risposta chiusa, forse in grado di accertare livelli minimi di capacità di calcolo matematico o di competenze grammaticali o sintattiche, ma senza andare oltre. Le risposte a volte sono peraltro opinabili.

Nella pratica, inoltre, ogni docente avrà senz’altro notato, durante la somministrazione delle prove, quanto sia più facile per gli studenti copiare. E sappiamo anche quanto la “cultura del test” abbia nel tempo creato studenti via via sempre meno capaci di esporre e di argomentare in modo coerente e corretto.

Se il nostro unico strumento di valutazione è un test, si perdono anche tutti quei segnali verbali e non verbali che lo studente ci mette a disposizione nel percorso didattico.

Che si stia andando verso la “scuola dei test”, a nostro parere molto più povera, viene confermato dal fatto che negli ultimi anni è stato richiesto al docente un sempre maggior numero di verifiche a fronte di un significativo aumento del numero di alunni per classe. L’insegnante quindi si è trovato a dover affrontare pressioni contrapposte: svolgere un programma per intero, aumentare il numero delle verifiche e valutare sempre più alunni: la risposta a cui si è ricorso più spesso è appunto il test. Ma se rimettiamo tutto ai test rischiamo di confondere misurazione con valutazione. La valutazione è l’insieme di più fattori e non può prescindere né dalla soggettività del docente né da quella dello studente e del gruppo-classe.

Secondo il Regolamento, il procedimento di valutazione si snoderà attraverso diverse fasi:

– autovalutazione secondo un format elettronico proposto dall’Invalsi e in base ai dati dell’Invalsi uniti a quelli del MIUR “scuole in chiaro”;

– valutazione esterna da parte di nuclei coordinati sulla base di protocolli definiti dall’ Invalsi con la conseguente ridefinizione dei piani di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche;

– rendicontazione pubblica dei risultati del processo.

I docenti ritengono che i suddetti procedimenti di valutazione non abbiano il requisito della chiarezza e della trasparenza, non essendo noti il “format elettronico” per l’autovalutazione né i protocolli per la valutazione esterna. Fumosa appare inoltre la definizione degli obiettivi di cui si intende verificare il raggiungimento: non essendo stati fissati dai decisori politici quali livelli minimi di qualità del sistema di istruzione sono da garantire e quale modello di scuola si intende realizzare, com’è possibile stabilire un modo chiaro per verificare se gli obiettivi siano stati raggiunti o meno?

I membri del coordinamento prevedono, inoltre, un proliferare di didattiche finalizzate ai test, come è avvenuto negli Stati in cui questi modelli organizzativi sono adottati (si vedano le notizie che provengono proprio in questi giorni da Finlandia e Stati Uniti), dove si è rilevato un calo nei risultati di apprendimento e il nascere di una sorta di concorrenza fra le scuole, in base al presunto merito. Tale fenomeno è già riscontrabile anche nel nostro Paese.

Qualche collega fa notare che il proliferare delle suddette didattiche finalizzate ai test compromette anche la libertà di insegnamento, visto che per aiutare i propri allievi e rendere meno traumatica la prova, gli insegnanti cercano di premunirli prima e dedicano loro malgrado tempo alla preparazione degli alunni per renderli consapevoli e pronti a quel tipo di esercizio.

I docenti sottolineano inoltre:

– l’esiguo numero delle discipline sottoposte a verifica, con il rischio di sminuire e dequalificare quelle non verificate;

– l’assurdità del fatto che i test Invalsi non siano svolti a campione ma su base censuaria, con costi significativi, e addirittura inseriti nella valutazione degli studenti medi (è già in progetto di inserirli anche nell’esame di Stato);

– la mancanza di una ricompensa adeguata per carichi di lavoro aggiuntivo;

– il fatto che i risultati potrebbero diventare decisivi per ottenere premi per l’Istituzione scolastica dove lavorano, dato che non ci troviamo di fronte ad una valutazione che si rivolge ai soli studenti, ma che già nei progetti sperimentali -e si teme anche nel futuro – ha riguardato i docenti, le scuole stesse e la loro offerta formativa.

Di fatto fino ad ora si è assistito alla sovrapposizione/confusione tra valutazione di sistema e valutazione individuale (se i test non hanno esito positivo, la scuola ha una cattiva valutazione, anche il DS viene valutato in relazione ai test Invalsi, i docenti che non raggiungono risultati soddisfacenti non sono bravi insegnanti). Ma questo è assolutamente controproducente e deresponsabilizzante: si scaricano infatti sui singoli le responsabilità collegate ad un sistema che presenta delle problematiche (aumentate in questi anni in maniera esponenziale) mentre si evita accuratamente di verificare e valutare quali scelte politiche e quali situazioni siano le cause dei risultati insoddisfacenti.

Crediamo che nessun docente oggi voglia sottrarsi per principio ad una valutazione sia individuale sia d’istituto, ma che piuttosto chieda forme/modalità di valutazione di più ampio respiro e meno riduttive rispetto ad un test come finora proposto dall’INVALSI.

In ogni caso sarebbe auspicabile che venisse avviato un dibattito in merito affinché, prima di proporre qualsiasi valutazione di scuole, ci si confronti con i soggetti che nella scuola lavorano quotidianamente.

I docenti muovono un’ultima critica rispetto alla partecipazione dei ragazzi in situazione di handicap, che possono venire esclusi dai test o produrre prove che non vengono valutate nei dati nazionali: sembra grave che ciò avvenga in un Paese che si è distinto in passato a livello europeo per la capacità di integrazione degli allievi disabili nel suo sistema scolastico.

Infine i membri del coordinamento sollevano qualche perplessità sul reale anonimato dello studente, in realtà facilmente identificabile con un codice a barre.
Per concludere si ribadisce che una vera scuola pubblica deve essere centrata sul continuo miglioramento della sua qualità non per mezzo dei test, ma attraverso la formazione e la motivazione di chi lavora, il miglioramento strutturale delle condizioni in cui si insegna e la riduzione del numero di alunni per classe.

I docenti del Coordinamento delle scuole della provincia di Ferrara “La scuola è di tutti”.

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