Il bisogno di un sinonimo: quando e come

A volte le ripetizioni aiutano nel rendere un testo più facilmente comprensibile, altre volte lo appesantiscono e rendono la lettura un calvario: è qui che si sente il bisogno di un sinonimo. Come diceva un antico adagio, la virtù sta nel mezzo, in tal caso concedersi l’utilizzo reiterato dello stesso vocabolo è concesso, purché entro certi limiti e, soprattutto, quando mancano terminologie aventi pari significato. Per evitare di stravolgere il contenuto, o dargli un’accezione differente rispetto al proprio intento, è necessario rispettare le parole. Perché le parole hanno un loro peso e una loro importanza.

 

Cos’è il registro e perché è tanto importante

Come un avvocato in una lettera di diffida o un impiegato addetto a inviare mail commerciali verso clienti e fornitori, così se scrivi un sms a qualche persona devi modulare il linguaggio. Varia secondo il cosiddetto registro, definito da Garzanti Linguistica: “Modo di parlare o scrivere, livello espressivo proprio di una data situazione comunicativa: registro familiare, giornalistico, burocratico” (GDG 2008, sub voce).

 

Un dibattito è invece ancora vivo sugli elementi costituitivi. In generale – ravvisa la Treccani – determinate professioni lasciano meno campo libero: nel gergo medico, per esempio, solamente una parafrasi (cioè parole proprie) può sostituire “controindicazione”. Dipende dall’interlocutore, se giovane o anziano, se istruito o meno. Oppure ancora nella scelta tra “pregresso” e “precedente”: esprimono lo stesso concetto, ma l’uso muta in base alla particolare situazione. Per un referto oppure un forum di settore risulterà più indicata la prima, mentre la seconda si presterà meglio in un colloquio col paziente. Avvalersi di tecnicismi, poco noti a chi ha un bagaglio culturale e sociale differente, crea fraintendimenti e precluderebbe l’obiettivo primario, cioè veicolare un messaggio in maniera chiara. Anche se la tentazione è irresistibile, vale la pena raffreddare gli ardori e non complicarsi la vita.

 

Il bisogno di un sinonimo: quando e come

Questo lungo cappello introduttivo serve a stabilire l’effettivo bisogno del sinonimo nel discorso intrapreso. È opportuno cercarlo:

 

  • Quando la parola corretta esprime nel modo più accurato ed esaustivo ciò che desideriamo trasmettere.

 

Es. -> Maglia è una tipologia generica di vestiario, alla quale appartengono tanti sottocapi: canottiera, t-shirt, camiciola, pullover, golf, blusa. Ma con maglia si intende pure la composizione del tessuto: intreccio di fili, rete, punto. Infine, esistono i gioielli a maglia.

 

Es. -> Macchina indica comunemente l’automobile, etc. (auto, autovettura, autoveicolo) o “macchinari”, costruiti collegando più elementi, e risparmiare pertanto tempo e/o fatica: dispositivo, apparecchio, meccanismo, apparecchiatura, attrezzo. Consiste pure in congegni meccanici o meccanismi in circuiti elettrici/elettronici (robot, automa) e nel complesso di più parti riunite sotto un unico agglomerato, sapientemente organizzato e regolato: organismo, organizzazione, apparato, struttura.

 

  • Quando occorre ponderare lo scritto al registro scelto.

 

Es. ->La notifica di un’infrazione in un eventuale processo si chiama “contravvenzione”, mentre “ammenda” e “multa” trovano maggiore diffusione nel quotidiano.

 

Es. -> Le imprese parlano di “mission” per definire lo scopo ultimo, la giustificazione stessa della costituzione e il tratto distintivo rispetto ad analoghe compagnie. In alternativa, senza ricorrere al glossario aziendale, è accettabile “dichiarazione d’intenti”.

 

  • Quando l’intenzione è non incorrere in frasi fatte, cliché e parole vuote.

 

Si definiscono parole piene, le parole aventi un significato proprio e di senso compiuto: nomi, aggettivi, verbi e avverbi. Sono vuote le parole che lo acquistano esclusivamente se associate alle prime o se adoperate all’interno di una frase. Servono esclusivamente a collegare, richiamare e stabilire relazioni: pronomi, congiunzioni, articoli, preposizioni e interiezioni. Il pronome “troppo”, per esempio, o l’interiezione “ahimè” non si reggono da sole: sono parole vuote.

 

Es. -> Era troppo bello per essere vero

Es. -> Ti avevo chiesto di non toccare quel vaso, ma ahimè non mi hai voluto ascoltare

 

Occhio però a distinguerle dalle c.d. “parole estratte”. Nonostante, non siano “toccabili con mano”, come l’intelligenza o la generosità, posseggono un significato ben preciso e sono dunque parole piene.

 

  • Quando il compito è di eliminare una ripetizione davvero fastidiosa.

 

“Pure”, “molto”, “solamente”, “esclusivamente”, etc.: tutte queste costruzioni sintattiche, se ridondanti, vanificano la piacevolezza dell’elaborato. Altre ripetizioni (anafora) contribuiscono a raggiungere precise finalità stilistiche e comunicative.

 

Es. -> “Giovannino Perdigiorno

ha perso il tram di mezzogiorno,

ha perso la voce, l’appetito,

ha perso la voglia di alzare un dito,

ha perso il turno ha perso la quota,

ha perso la testa (ma era vuota),

ha perso le staffe ha perso l’ombrello,

ha perso la chiave del cancello

ha perso la voglia ha perso la via;

tutto è perduto fuorché l’allegria.

 

(Gianni Rodari, Giovannino Perdigiorno)

 

  • Quando vogliamo essere espressivi, per colpire chi ci legge o ascolta

 

Es. -> La pioggia picchiettava, tamburellava, picchierellava senza sosta

Es. ->Dove Bologna giova, festeggiava, esultava, lui c’era

 

In definitiva, il bisogno di un sinonimo è percepito premesse le circostanze sopra evidenziate. La ripetizione non è un reato a prescindere!

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