SCUOLA E COSTITUZIONE

I – Oggetto e limiti della relazione

La politica scolastica di questo Governo e soprattutto l’idea di scuola che tale politica sottintende hanno il chiaro significato di una scelta per una scuola statale “minimale” che mette in discussione non solo il ruolo che la Costituzione assegna alla scuola statale, ma anche le condizioni necessarie per lo sviluppo economico del Paese: meno scuola statale significa, non solo meno democrazia, ma anche nella società di oggi meno sviluppo sociale ed economico.
Questa relazione non ha la pretesa di esaminare la politica scolastica di questo Governo in tutti i suoi aspetti culturali, didattici, pedagogici, ecc.; tralascia anche il tema della laicità che è intrinseco nella natura stessa dell’insegnamento e che sarà trattato da Furio Colombo; si vuole soltanto avviare un necessario confronto sui principi costituzionali in materia scolastica, sulla loro attualità e sulla necessaria coerenza della politica scolastica con questi principi se si vuole efficacemente contestare la politica scolastica delle destre.

1- Scuola e Costituzione

Tutti in ogni circostanza invocano sempre la Costituzione; ognuno però la legge a modo suo (per la verità non solo per quanto riguarda la scuola ma per tutti gli aspetti della vita sociale). Si tratta quindi preliminarmente di mettersi d’accordo sul contenuto dei principi costituzionali per verificare se c’è una effettiva convergenza.

2- Il ruolo della scuola in una società democratica

Una società democratica la scuola è una precondizione della democrazia in quanto volta a superare le disuguaglianze sociali ed economiche ed a creare condizioni di pari opportunità (art. 3, 2 comma Cost.).
Gli art. 33 e 34 della Costituzione delineano i principi di un sistema scolastico statale che, in coerenza con i valori fondanti di una democrazia, senza dubbio deve trasmettere i saperi, ma soprattutto deve formare i cittadini di una società democratica e cioè una scuola per un pieno diritto di cittadinanza.
Per la prima volta, infatti, l’istruzione, da mera questione amministrativa, assume un’ampia rilevanza costituzionale.

3- I principi costituzionali:

a) libertà di insegnamento e libertà di scuola;
b) attribuzione alla Repubblica del compito di dettare le norme generali sull’istruzione;
c) autosufficienza del sistema scolastico statale (la Repubblica istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi);
d) piena libertà per le scuole non statali e parità, per quanto concerne il trattamento scolastico degli alunni, per le scuole non statali che si adeguino alle norme stabilite dallo Stato;
e) obbligo scolastico per tutti per almeno otto anni;
f) diritto all’istruzione per tutti;
g) verifica da parte dello Stato degli studi conclusivi (esame di Stato).
Agli articoli 33 e 34 si aggiungono le disposizioni dettate dal titolo V della Costituzione, sul riparto di competenze tra Stato, regione ed enti locali in materia di istruzione e formazione professionale.

4- La libertà di insegnamento

Nella nostra Costituzione la scuola statale non può essere la scuola del Governo o del Ministro; la scuola della Costituzione si caratterizza per il pluralismo culturale e la libertà di insegnamento; è la scuola di tutti e per tutti.
L’insegnamento è libero nel senso che nella scuola statale non può essere consentita alcuna indebita forma di condizionamento, specialmente ideologico, non deve essere consentita una dottrina “ufficiale” e/o statale.

4.1 Condizioni e limiti della libertà di insegnamento nella scuola statale.
La libertà di insegnamento non può però esaurirsi nell’affermazione del principio, presuppone alcune necessarie condizioni in mancanza delle quali diventa un’astratta affermazione di principio, priva di reale contenuto.
La libertà di insegnamento nella scuola non è però una libertà dalle regole, ma una libertà nelle regole.
Le condizioni necessarie per rendere effettiva la libertà di insegnamento nella scuola sono:
a) un particolare status per il personale docente volto a garantire l’autonomia professionale da ogni forma di condizionamento.
b) una gestione autonoma e democratica non solo delle singole istituzioni scolastiche, ma dell’intero sistema scolastico, c.d. “autogoverno”.
Nel contempo però la libertà di insegnamento deve svolgersi nell’ambito delle regole e quindi di limiti:
a) l’osservanza delle norme generali sull’istruzione;
b) il rispetto della libertà e della personalità degli alunni;
c) il necessario rispetto della medesima libertà degli altri docenti.
Una scuola organizzata in modo gerarchizzato ed un sistema scolastico in cui ogni potere decisionale sia affidato al Ministro sono incompatibili con la libertà di insegnamento e con il pluralismo scolastico.
La libertà di insegnamento presuppone pertanto un’organizzazione democratica della scuola senza alcuna forma di gerarchizzazione di ruoli; una organizzazione cioè per linee orizzontali, dove i relativi compiti sono ripartiti tra i diversi operatori in relazione alle diverse funzioni, ma senza rapporti di gerarchizzazione; ognuno svolge la propria funzione in condizioni paritarie e nel contempo con piena responsabilità; nello stesso tempo però tutti, ai diversi livelli, partecipano direttamente o con propri rappresentanti negli organi democratici preposti alla gestione della scuola.

4.2- Libertà di insegnamento e ruolo del Parlamento: la riserva di legge
Il principio della libertà di insegnamento delle scuole statali postula un sistema di governo della scuola autonomo e soprattutto indipendente dagli esecutivi, cioè dal Governo, ma anche dagli esecutivi delle Regioni e degli Enti Locali.
Le norme generali dell’istruzione scolastica devono riflettere il pluralismo culturale del Paese e quindi devono essere espressione del massimo organo rappresentativo del Pese, cioè il Parlamento (cd riserva di legge).
Non sono compatibili con il principio della “riserva di legge” sia la decretazione di urgenza seguita da conversione in legge a colpi di maggioranza e voti di fiducia, sia, a maggior ragione, la “delegificazione; cioè la delega al potere regolamentare del Governo.

4.3. Sistema scolastico statale: garanzia di libertà di insegnamento e di accesso per tutti all’istruzione
Lo Stato non può limitarsi a dettare “le norme generali”, ma deve direttamente provvedere a realizzare direttamente con proprie scuole l’istruzione in tutto il territorio nazionale, in modo da garantire a tutti un livello di istruzione il più possibile qualitativamente e culturalmente omogeneo nel territorio nazionale.
La Costituzione all’art. 33 afferma: “La Repubblica detta le norme generali dell’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”; nel successivo art. 34 : “ La scuola è aperta a tutti”
La Repubblica quindi deve anche garantire a tutti l’accesso alla scuola statale di ogni ordine e grado. L’offerta della scuola statale deve essere autosufficiente; illegittimità della politica del numero chiuso.

4.4- L’autonomia del sistema scolastico e l’autogoverno della scuola a garanzia del pluralismo culturale e della stabilità degli indirizzi culturali.
Per garantire il governo del sistema scolastico, a tutti i livelli, deve essere organizzato in modo da evitare ogni possibile forma di ingerenza e di condizionamento da parte del Governo, ma anche da parte degli esecutivi regionali e locali.
Un sistema di governo democratico ed autonomo della scuola garantisce anche la stabilità degli indirizzi culturali; l’autonomia della scuola dagli esecutivi ed in primo luogo dal Governo eviterebbe che l’alternanza delle maggioranze di Governo comporti la conseguente alternanza degli indirizzi culturali e didattici della scuola.

5- L’obbligo scolastico per almeno otto anni.

L’istruzione scolastica nella nostra Costituzione non è soltanto un diritto, perchè un livello minimo di istruzione è ritenuto un’esigenza della collettività e quindi è obbligatorio per tutti; un effettivo diritto di cittadinanza ed il suo effettivo esercizio richiedono che ci sia un livello di formazione culturale uguale per tutti e gratuito; la Costituzione prevede un minimo di otto anni, ma precisa “almeno” e cioè con un tendenziale incremento del livello di istruzione.
Per la sua finalità l’istruzione obbligatoria non solo deve essere gratuita ma deve essere il più possibile uguale; in attuazione di tale principio nel 1962 fu giustamente istituita la scuola media unica, eliminando quella ingiusta discriminazione classista tra scuola media ed avviamento professionale.
Per la stessa ragione si deve ritenere discriminatoria ed elusiva della finalità e natura dell’obbligo scolastico la possibilità prevista prima dalla Moratti ed ora dalla Gelmini di una forma duale di obbligo a 14 anni ( obbligo scolastico ed obbligo formativo)

6- La spesa per la scuola statale

La spesa per la scuola statale come qualsiasi altra spesa pubblica deve essere razionalizzata al massimo, evitando ogni possibile spreco.
Ma razionalizzazione della spesa pubblica non può significare tagli indiscriminati alla spesa; deve significare che la spesa deve essere finalizzata alle reali esigenze della collettività, eliminando le spese inutili ma incrementando quelle produttive.
La spesa per la scuola non può essere considerata un costo, ma un investimento per lo sviluppo democratico e sociale del Paese; quindi non può essere contingentata “a prescindere”, ma deve essere una spesa rapportata alle esigenze reali.

7- Scuole non statali, parità scolastica e sussidiarietà

7.1 Parità scolastica e non delle scuole
L’art. 33, dopo avere affermato i principi dell’autosufficienza della scuola statale, al comma 3 stabilisce che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato;” l’istruzione statale non costituisce l’unica forma di diffusione del sapere ed è garantito ad Enti e ai privati il diritto di istituire proprie scuole, purché l’esercizio di tale diritto non gravi sulle finanze pubbliche.
Ma l’art. 33 Cost. non si limita a ciò ed infatti il comma 4 stabilisce che “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”, affermando, così, la possibilità per le scuole che si conformino alle disposizioni legislative appositamente dettate, di chiedere ed ottenere la parità giuridica del trattamento scolastico degli alunni, cioè del valore giuridico degli studi e dei risultati conseguiti nelle medesime.

7..2 Diritto di istituire scuole, senza oneri per lo Stato
L’art. 33, 3 comma Cost. stabilisce: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Il significato letterale della norma in questione non dovrebbe dare adito ad alcun dubbio: “senza oneri per lo Stato” significa che Enti e privati hanno diritto di istituire scuole non statali, ma che tali scuole non possono in nessun modo gravare sulle finanze pubbliche; “senza oneri” ha una portata più ampia della semplice esclusione e/o divieto di contributi o sussidi; significa che l’istruzione non statale non deve in nessun modo pesare sulle finanze pubbliche né sotto forma di contributo diretto o indiretto, né sottoforma di sussidi alle famiglie, né all’atto della istituzione né successivamente ad essa e neppure sotto forma di una minore entrata, tramite un’eventuale detassazione; e ciò perchè tutte le risorse finanziarie pubbliche disponibili devono essere destinate all’istruzione scolastica statale.

7.3 La legge di parità
Autosufficienza del sistema scolastico statale ed esclusione del sistema integrato pubblico-privato.

II La Costituzione: dalla non attuazione alla palese violazione
1- Le prime e tardive forme di attuazione dei principi costituzionali (scuola media unica e decreti delegati).

Si deve attendere il 1962 per ottenere con la L. n. 1859 del 31/12/1962 l’eliminazione della vergognosa e classista distinzione tra scuola media ed avviamento con l’introduzione nella scuola media unica.
Una svolta più forte verso una graduale affermazione dei principi costituzionali si realizza negli anni 70, in particolare on i cd “Decreti Delegati” del 1974 che tentano di trasformare il sistema scolastico da una struttura amministrativa, centralista e gerarchizzata, in un sistema di istituzione articolata nel territorio ed organizzata in modo partecipato ai diversi livelli.
Era un tentativo di costruire un sistema scolastico capace di interagire con il territorio, ma nel tempo stesso nazionale e non localista e soprattutto rispettoso della libertà di insegnamento; i docenti non erano più gli esecutori delle direttive dei superiori gerarchici, ma soggetti che, unitamente agli altri soggetti che operano nella scuola (personale direttivo, personale ATA, genitori e studenti), partecipano al governo della scuola.
Questo tentativo di profonda trasformazione dell’ordinamento scolastico che aveva suscitato molte aspettative e mobilitato in tutte le realtà scolastiche centinaia di genitori, studenti ecc. ben presto è fallito per tante ragioni (inadeguatezza dei mezzi finanziari per dare concretezza alle decisioni, ambiguità di talune disposizioni molto spesso contraddette da disposizioni preesistenti che si continuavano ad applicare, la permanenza della struttura amministrativa gerarchizzata e del sistema delle circolari); ma soprattutto è mancato un forte sostegno da parte delle organizzazioni politiche ed associative con la conseguenza che soprattutto i genitori che con entusiasmo si erano impegnati, si sono sentiti abbandonati.
In realtà le forze politiche democratiche hanno sempre creduto poco ad una forma di gestione, demandata alla scuola e la prova provata si è avuta con i governi di centro-sinistra che hanno reintrodotto forti elementi di gerarchizzazione incompatibili con un governo democratico della scuola (la dirigenza scolastica e la cd privatizzazione del rapporto di p.i. anche per la scuola !!).

2- La Costituzione violata

2.1 L’egemonia culturale neo-liberista
Negli anni 80 e 90 il trionfo del pensiero unico neoliberista ha stravolto anche culturalmente tutte le più importanti conquiste sociali e democratiche, coinvolgendo anche ampi settori della sinistra e quindi anche il mondo della scuola.
Questa ventata di egemonia culturale neo-liberista si è ovviamente abbattuta anche e soprattutto sui principi costituzionali; il primato del privato e dell’identificazione di Stato con statalismo che finora erano connotati della cultura di destra, sono diventati l’aspetto distintivo della “modernizzazione” di sinistra in opposizione al “conservatorismo” statalista.
Nel giugno del 1995 un gruppo di intellettuali (oggi in gran parte militanti del PD) ha sottoscritto un documento “Una nuova idea per la scuola” in cui, noncurante dei principi costituzionali, si affermava:
“Si deve pensare a un sistema formativo pubblico, nazionale ed unitario, del quale partecipano scuole statali e non statali che accettino e pratichino l’impegno di formare i giovani secondo i valori costituzionali, secondo gli obiettivi generali stabiliti dallo Stato e con un preciso sistema di valutazione”.
Si abbandona la distinzione tra scuola pubblica e scuola privata; pubblico e privato, nell’ambito delle norme generali e degli standards culturali nazionali, possono non solo coesistere, ma concorrere per assicurare con la competizione il servizio più rispondente alle esigenze della clientela.

3- La politica del Governo Prodi – Berlinguer – Bassanini: lo stravolgimento della Costituzione

L’avvio della politica di progressivo stravolgimento dei principi costituzionali si ha con il Governo Prodi-Berlinguer-Bassanini in particolare con alcuni provvedimenti che segnano una vera e propria svolta nell’ordinamento scolastico:
1) la cd autonomia delle istituzioni scolastiche con il POF e la dirigenza scolastica;
2) la privatizzazione del rapporto di p.i.
3) la legge sulla parità scolastica (L. n. 62/2000);
4) modifica del Titolo V della Costituzione.

3.1 L’art. 21 della L. n. 59/97: l’autonomia scolastica, il POF e ruolo preminente del Ministro
L’art. 21 è una legge delega che fissa alcuni criteri, peraltro generici, che saranno attuati con i provvedimenti delegati che sono:
a) il D.P.R. 18 giugno 1998 n. 233 recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti;
b) il D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275 recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, modificato poi dal D.P.R. 4 agosto 2001 n. 352;
c) il D.Lgs 6 marzo 1998 n. 59 relativo alla disciplina della qualifica dirigenziale dei capi di istituto delle istituzioni scolastiche autonome (successivamente assorbito nel T.U. n. 165/91);
d) il D.Lgs 30 giugno 1999 n. 233 di riforma degli organi collegiali territoriali della scuola.
L’autonomia non è un concetto univoco; l’autonomia può essere un’autonomia dell’intero sistema scolastico, ma può essere un’autonomia delle singole istituzioni scolastiche in un sistema autonomo o in un sistema nel suo complesso eterogovernato.
L’art. 21 al primo comma, prevedeva l’autonomia delle istituzioni scolastiche all’interno del “processo di realizzazione dell’autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formativo”.
I provvedimenti attuativi dell’art. 21 non sono andati in tale direzione; sarà sufficiente rilevare che il D.P.R. n. 275/99, all’art. 3, attribuisce al POF una valenza identitaria di ciascuna realtà scolastica molto forte (“è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale” di ciascuna scuola); l’art. 8 attribuisce al Ministro competenze molto rilevanti di indirizzo culturale con un conseguente ruolo preminente nel governo della scuola; l’autonomia prevista dall’art. 21 e dai relativi provvedimenti attuativi, assume pertanto i connotati di un’autonomia-decentramento o più precisamente di un’autonomia delle singole istituzioni scolastiche nell’ambito di un sistema scolastico fortemente ministeriale.
Il D.P.R. n. 275/1999, sull’autonomia scolastica, attribuisce al Ministro un ruolo preminente ed assorbente nel governo del sistema scolastico nazionale.
Ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a-h, il Ministro difatti definisce, sia pure “previo parere delle competenti commissioni parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali” e “sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione”:
a) gli obiettivi generali del processo formativo;
b) gli obiettivi specifici di apprendimento;
c) le discipline e le attività costituenti la quota nazionale e il relativo monte ore annuale;
d) l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli comprensivo della quota nazionale obbligatoria e della quota obbligatoria riservata alle istituzioni scolastiche;
e) i limiti di flessibilità temporale per realizzare compensazioni tra discipline e attività della quota nazionale del curricolo;
f) gli standard relativi alla qualità del servizio;
g) gli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni, il riconoscimento dei crediti e dei debiti formativi;
h) i criteri generali per l’organizzazione dei percorsi formativi finalizzati all’educazione permanente degli adulti, anche a distanza, da attuare nel sistema integrato di istruzione, formazione, lavoro, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali.
La scelta di attribuire al Ministro il compito di definire il progetto culturale nazionale non solo contrasta con la finalità primaria dell’autonomia e cioè con il principio della libertà di insegnamento, ma contrasta con lo stesso comma 1 dell’art. 21 della L. n. 53/1997, che aveva previsto espressamente l’autonomia del sistema scolastico, rifiutando pertanto il mantenimento del ruolo ministeriale nel governo della scuola.

3.2 Gli organi collegiali territoriali: da organi di autogoverno ad organi di supporto tecnico dell’Amministrazione

3.3 La dirigenza scolastica e la libertà di insegnamento
L’art. 21 della L. n. 59/97 al comma 16 ha previsto la figura del dirigente scolastico; in attuazione di tale norma è stato successivamente emanato il D.Lgs 6 marzo 1998 n. 59 (trasfuso nel D.Lgs. n. 165/01) che attribuisce ai Capi di istituto la qualifica dirigenziale e di conseguenza una serie di nuove attribuzioni.
In particolare, il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione scolastica, ne ha la rappresentanza legale, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e dei risultati del servizio scolastico, cura le relazioni sindacali, organizza l’attività scolastica secondo i criteri di efficienza ed efficacia ed ha autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali della scuola.
La nuova figura del dirigente scolastico appare difficilmente conciliabile con la libertà di insegnamento del personale docente che dovrebbe operare “sotto la direzione” del dirigente scolastico e con le competenze decisionali attribuite agli organi collegiali della scuola.
Peraltro il dirigente scolastico è configurato come una qualifica dell’Amministrazione scolastica (“nell’ambito dell’Amministrazione scolastica periferica”) e come tale è soggetto alla valutazione dei risultati da parte di un “nucleo di valutazione istituito presso l’amministrazione scolastica regionale”.
Il D.Lgs. n. 59 del marzo 1998, tende a conciliare tale qualifica dirigenziale, per sua natura sovraordinata, con il modello di gestione democratica delle scuole che, a garanzia della libertà di insegnamento, preclude ogni rapporto di gerarchizzazione.
Senza dubbio queste “garanzie” attenuano il ruolo manageriale del dirigente scolastico soprattutto rispetto alle competenze decisionali degli OO.CC.; ma pur con tali limiti la dirigenza scolastica rimane una figura anomala rispetto ad un modello di governo democratico ed in compatibile con la libertà di insegnamento e l’autonomia scolastica.
Allo stato attuale però, essendo ancora in vigore il sistema degli organi collegiali previsto dal D.P.R. n. 416/74 (trasfuso ora nel D.Lgs. n. 297/94), le attribuzioni del dirigente scolastico sono condizionate dalle competenze degli organi collegiali che il dirigente scolastico deve rispettare e quindi dal potere decisionale ad essi attribuito.

3.4 La privatizzazione del rapporto di lavoro del personale docente
L’art. 5 del D.Lgs. n. 165/01 stabilisce che “nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi … le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le norme inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”.
Si reintroduce il modello del rapporto gerarchizzato di subordinazione preesistente ai “decreti delegati” del 1974 con una forte limitazione della libertà di insegnamento intesa come diritto di partecipare attivamente e liberamente alla gestione della propria attività.
Nel contempo, reintroducendo un rapporto gerarchizzato, si riproduce il modello organizzativo piramidale in cui il dipendente subordinato deve osservare le direttive del superiore sovraordinato; il ruolo degli organi collegiali è fortemente condizionato dal momento che la collegialità presuppone posizioni paritarie e diventa fittizia se nell’organo collegiale uno dei componenti si trova in una posizione giuridica di sovraordinazione rispetto agli altri.

3.5 La legge di “parità” (L. n. 62/00)
Lo stravolgimento dei principi costituzionali assume un’evidenza chiara con la L. n. 62/00 che, combinata con l’autonomia prevista dal DPR n. 275/99 segna un evidente abbandono del sistema scolastico costituzionale verso un sistema scolastico c.d. nazionale, formato da scuole statali, pubbliche degli enti locali e private.
Gli aspetti più rilevanti sono:
1) sistema scolastico nazionale unico comprensivo di scuole statali e scuole non statali;
2) Il diritto alla parità;
3) Diritti ed obblighi delle scuole paritarie;
4) Parità e piena libertà;
5) Oneri per lo Stato.

3.6 Sistema scolastico nazionale
La scelta più rilevante e per certi aspetti dirompente della “Legge di parità” consiste nella configurazione di un nuovo ordinamento scolastico che supera il dualismo tra sistema scolastico statale e scuole non statali, delineato dalla Costituzione e prevede un unico sistema scolastico nazionale comprensivo di scuole statali, degli enti locali e private paritarie; il primo comma dell’art. unico della legge difatti afferma: “Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’art. 33 secondo comma della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli Enti Locali”.
I successivi commi ribadiscono la peculiarità delle scuole non statali che non solo possono essere private, ma possono essere anche di tendenza e cioè possono limitare la libertà di insegnamento ed anche l’accesso di alunni che non ritengano di aderire al progetto educativo coerente con la specifica tendenza.
Con tale legge di parità si prevede un sistema scolastico unico, ma comprensivo di scuole che possono avere ed in realtà hanno natura, finalità e principi diversi; si prevede in sostanza una “parità” tra scuole statali e non statali che però mantengono le loro diversità.
Autonomia delle istituzioni scolastiche e parità scolastica avrebbero ora definito un sistema scolastico non più statale, ma nazionale e cioè regolato dalle “norme generali” sull’istruzione, ma con scuole non necessariamente gestite dallo Stato.
Ovviamente da tale impostazione ne deriva che anche le scuole non statali e cioè anche le scuole private paritarie di tendenza in quanto concorrono con quelle statali al soddisfacimento della domanda sociale svolgono la stessa funzione pubblica; ma se svolgono la stessa funzione, ne deriva la ingiustificabilità del principio “senza oneri per lo Stato”.
Peraltro la L. n. 62/00 afferma esplicitamente “la scuola paritaria, svolgendo un servizio pubblico…”; tale inciso ha indotto alcuni a sostenere che il riconoscimento alle scuole paritarie dello svolgimento di un servizio pubblico comporta la natura pubblica di tali scuole che però, nello stesso tempo, a differenza delle scuole statali, hanno diritto alla “piena libertà”.
In realtà l’attività di tali scuole, come risulta dalla stessa legge di parità, non solo non è “pubblica” perchè è determinata dal soggetto che la gestisce, ma non è nemmeno rivolta al “pubblico”; difatti possono accedere alle scuole private paritarie gli alunni che accettino il progetto educativo della scuola e cioè anche l’eventuale indirizzo confessionale.

3.7 Legge di parità e piena libertà
La Legge n. 62/2000, al comma 3, in coerenza con il principio costituzionale della “piena libertà”, che deve essere assicurato a tutte le scuole non statali, stabilisce che “Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico. Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l’insegnamento è improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione. Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap”.
Il progetto educativo indica l’eventuale ispirazione di carattere culturale o religioso. Non sono comunque obbligatorie per gli alunni le attività extra-curriculari che presuppongono o esigono l’adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa”.
Le scuole private, anche se paritarie, hanno quindi diritto alla “piena libertà”, sia per quanto riguarda l’organizzazione, sia per quanto riguarda i contenuti culturali, ecc.; la “parità” in realtà non comporta però una dimensione “pubblica” della scuola paritaria che secondo la stessa legge può invece mantenere la sua natura e finalità di scuola di appartenenza e di tendenza; difatti:
a) Le scuole private, ancorchè paritarie, possono essere scuole di tendenza e quindi possono non solo limitare la libertà di insegnamento nella scuola, ma non consentire alcuna forma di pluralismo culturale e/o di laicità; è vero che l’insegnamento deve essere “improntato a principi di libertà stabiliti nella Costituzione”, ma nel contempo si deve “tener conto del progetto educativo della scuola”.
b) Allo stesso modo è consentito a tutti di iscriversi alle scuole private, ma a condizione che ne accettino il progetto educativo; il pluralismo culturale può essere quindi fortemente limitato.

3.8 Legge di parità con oneri per lo Stato
Un ulteriore aspetto della legge di parità che si pone in contrasto con il principio per cui le scuole non statali possono essere istituite ma “senza oneri per lo Stato” è la parte della legge che prevede forme di sostegno finanziario all’istruzione privata.
La legge di parità, prevedendo interventi finanziari a favore dell’istruzione scolastica privata, ha formalmente messo in discussione il principio “senza oneri per lo Stato”.
La legge di parità ha difatti previsto due forme di intervento finanziario a sostegno dell’istruzione privata e precisamente una forma indiretta attraverso borse di studio delle famiglie per il “sostegno della spesa sostenuta” e l’altra in modo diretto prevedendo ai commi 13 e 14 un contributo di 60 miliardi “per il mantenimento di scuole elementari parificate e della somma di 280 miliardi per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato”.

4- La riforma del Titolo V della Costituzione

4.1 Gli aspetti principali della riforma del Titolo V Cost.
La riforma del Titolo V della Costituzione, deve essere vista nell’ambito dei principi definiti dagli artt. 33 e 34 Cost. che assegnano allo Stato un ruolo primario nel sistema scolastico.
4.2 La riforma del Titolo V Cost. in materia di istruzione scolastica
In materia di istruzione scolastica la riforma del Titolo V della Cost. pone problemi di interpretazione e soprattutto di coerenza con l’art. 33 della Costituzione e con lo stesso art. 117, comma 2 che salvaguardia l’autonomia delle istituzioni scolastiche; tali problemi si possono così riassumere:
a) attuazione del c.d. “regionalismo differenziato” di cui all’art. 116 Cost., 3 comma
b) riparto della funzione legislativa tra Stato e Regioni e salvaguardia dell’autonomia delle istituzioni scolastiche;
c) funzioni amministrative e natura statale delle istituzioni scolastiche;
d) scuole statali per tutti gli ordini e gradi ed istruzione e formazione professionale;
e) principio di sussidiarietà orizzontale.

4.3 Riparto della funzione legislativa tra Stato e Regioni
L’aspetto più rilevante ed innovativo della riforma consiste nell’attribuzione alle Regioni di una competenza legislativa, sia pure concorrente, in materia di istruzione scolastica.
Tale attribuzione si deve però ritenere limitata poichè rimane allo Stato, in coerenza con il principio dell’art. 33, la competenza esclusiva di dettare le “norme generali sull’istruzione” (art. 117 comma 2 lett. n); nel contempo la potestà legislativa delle Regioni deve svolgersi nell’ambito dei “principi fondamentali” la cui determinazione è riservata alla legislazione statale.
Peraltro rimane allo Stato la potestà legislativa concernente “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, 2 comma, lett. n).
Infine si deve tener conto anche della “costituzionalizzazione” dell’autonomia delle istituzioni scolastiche che comporta una ulteriore limitazione alla potestà legislativa sia delle Regioni sia anche dello Stato.
L’ambito della potestà legislativa delle Regioni in materia di istruzione scolastica si può quindi determinare in via residuale dopo aver individuato l’ambito della potestà legislativa dello Stato sotto i suindicati tre profili (oltre all’ambito riservato all’autonomia delle istituzioni scolastiche):
a) norme generali sull’istruzione;
b) principi fondamentali;
c) livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
In astratto la distinzione prevista dalla riforma del titolo V Cost. (art. 117 Cost.) tra le competenze legislative che rimangono allo Stato e quelle attribuite alle Regioni potrebbe apparire facilmente determinabile; nella realtà pratica invece sorgano molti problemi, stante l’ambito incerto delle “norme generali nell’istruzione” ed il difficile criterio distintivo tra “norme generali” e “principi fondamentali”.
Un aspetto più rilevante può invece assumere la disposizione del cd “regionalismo differenziato” ex art. 116 che può consentire a ciascuna regione una potestà legislativa anche in materia di norme generali; un’attuazione di tali disposizioni segnerebbe la fine del sistema scolastico nazionale.
III
1- La politica dei governi succedutesi dal 2001 in poi (Berlusconi/Moratti – Prodi/Fioroni e Berlusconi/Gelmini – Aprea)

Autonomia delle istituzioni scolastiche, privatizzazione del rapporto di p.i., legge di parità, riforma del titolo V della Costituzione, sono state scelte che, mettendo in discussione i principi costituzionali, li hanno delegittimati, aprendo un varco inarrestabile al progressivo processo di aziendalizzazione e di privatizzazione della scuola statale.
Si è consolidata l’idea della scuola come servizio; le politiche dei successivi governi hanno potuto muoversi nella stessa direzione, eliminando le ambiguità e costruendo progressivamente un servizio scolastico alternativo a quello delineato nella Costituzione.

2- Le Leggi Moratti

L’assetto istituzionale del sistema scolastico, così come definito con le legge sull’autonomia e sulla parità non è stato in alcun modo toccato dalle leggi Moratti; tali leggi intervengono difatti sull’ordinamento scolastico, sul tempo scuola e sui contenuti e modelli didattici.
Le leggi Moratti cercano difatti di superare tutte le ambiguità di un sistema scolastico che aveva introdotto il modello aziendalistico, ma che nello stesso tempo rimaneva finalizzato ad una istruzione di massa il più possibile omogenea per tutti; la Moratti interviene anzitutto sull’ordinamento didattico della scuola, prevedendo in particolare dopo la scuola media unica un doppio canale di formazione a seconda dei bisogni e delle possibilità dell’utenza: un canale per la futura classe dirigente (il sistema dei licei) ed un canale per la classe subalterna (la formazione professionale): una scuola quindi per la conservazione delle differenze sociali; una scuola così concepita comportava anche un’organizzazione didattica differenziata a secondo delle esigenze, con orari differenziati a domanda: quindi orari scolastici minimi per tutti con possibilità di ore aggiuntive per altre attività didattiche (cd modelli “spezzatino”).
La forte opposizione del mondo della scuola ha però contrastato queste leggi, impedendone di fatto in gran parte l’attuazione. Il tutor, lo stesso orario ridotto, ed altre cose del genere, grazie alla ferma contestazione del mondo della scuola, sono rimasti in gran parte disapplicate.

3- Il Governo Prodi dell’Unione

Le grandi manifestazioni con la parola d’ordine “abroghiamo la Moratti”, inducevano a pensare che il cambio di maggioranza al Governo del Paese avrebbe comportato l’abrogazione delle leggi Moratti e l’avvio di un processo di riforma della scuola coerente coni principi costituzionali.
Il Governo Prodi però, anche a causa dell’esigua maggioranza del Senato, non solo non si preoccupò di abrogare subito le leggi Moratti, ma addirittura nel tentativo di svuotare di contenuti le leggi Moratti, scelse di adottare la cd tattica del “cacciavite”, cioè di intervenire per via amministrativa il contenuto delle leggi Moratti; era evidente che si trattava di una furbizia di vecchio stampo democristiano, che non portò ad alcun risultato apprezzabile e deluse le aspettative di quanti si erano mobilitati contro le leggi Moratti e nello stesso tempo, come era prevedibile, non vanificò dette leggi che rimasero in vigore.
Nè peraltro trovò da parte della nuova maggioranza un’adeguata attenzione la proposta di legge di iniziativa popolare “Per una buona scuola” presentata da oltre centomila cittadini e rimasta del tutto dimenticata.
Il Governo Prodi, sostenuto oltre che dalle forze oggi presenti nel PD, da tutti i partiti della sinistra, non solo non ha abrogato le leggi Moratti, ma proseguendo nella stessa linea dei precedenti Governi per ridurre la spesa pubblica ha proceduto con la politica di tagli di 3.175 milioni alla spesa per la scuola statale, riproponendo l’idea che la spesa per la scuola è un costo che, a prescindere dalle esigenze, si deve limitare.
Peraltro, con la stessa legge finanziaria per il 2007 che ha previsto i tagli prima ricordati, è stato previsto addirittura un contributo per le scuole non statali di € 100,00 milioni con la stupefacente motivazione esplicitata nella stessa legge che anche le scuole non statali svolgono una funzione pubblica!
In tale modo il Governo dell’Unione, riconoscendoformalmente alle scuole non statali la stessa funzione pubblica delle scuole statali portava a conclusione il processo di destatalizzazione del sistema scolastico, formato indifferentemente da scuole statali e non statali per l’erogazione del servizio istruzione.
Il 18 Aprile le forze politiche che formavano il Governo dell’Unione sono state sconfitte a causa anche di una forte astensione; si sarebbe dovuto prevedere.

4- I provvedimenti Gelmini, Tremonti, Aprea e Calderoli: la conclusione del processo di privatizzazione del sistema scolastico e dello stravolgimento dei principi costituzionali.

4.1 I provvedimenti Gelmini (Tremonti)
In questo contesto si collocano i provvedimenti Gelmini (L. n. 133/08 e n. 169/08), il dl Aprea già all’esame della Camera dei Deputati, nonchè la proposta del cd “federalismo fiscale” del Ministro Calderoli (di cui si è finora parlato troppo poco).
Gli aspetti più rilevanti dei due provvedimenti Gelmini (L. m. 133 del 6 Agosto 2008 di conv.ne del D.L. n. 112 del 25 giugno 2008 e L. n. 169 del 30 ottobre 1008 di conv.ne del D.L. n. 137 del 1 settembre 2008) sono:
1) Tagli alla spesa per la scuola statale (a parte quelle ulteriori per l’Università) per un ammontare, entro il 2012 di € 7.832 milioni; a tale fine la stessa legge prevede alcuni specifici interventi e precisamente:
a) aumento di un punto del rapporto alunni-docenti;
b) riduzione degli organici del personale ATA per complessivi n.44500 posti nel triennio.
2) Delega al potere regolamentare del Governo ex art. 17, 2 comma della L. n. 400/88 “anche modificando le disposizioni legislative vigenti, si provvede ad una revisione dell’attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico, attenendosi ai seguenti criteri:
a) razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti;
b) ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali;
c) revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi;
d) rimodulazione dell’attuale organizzazione didattica della scuola primaria ivi compresa la formazione professionale per il personale docente interessato ai processi di innovazione ordinamentale senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica;
e) revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici de1 personale docente ed ATA, finalizzata ad una razionalizzazione degli stessi.
f) ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, previsto dalla vigente normativa;
f-bis) definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e l’articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell’offerta formativa;
f-ter) nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti”.
3) Reintroduzione del doppio canale per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione che può quindi essere scolastico o nella formazione professionale.
4) Ripristino dell’insegnante unico nella scuola primaria ed orario scolastico di 24 ore settimanali.
5) Ripristino del voto numerico per valutazioni periodiche e finali nella scuola secondaria di I grado.
6) Ripristino del voto sul comportamento e della non ammissione alla classe successiva per il voto inferiore a sei decisi.

4.2 Il senso politico dei provvedimenti Gelmini – Tremonti: tagli e non razionalizzazione della spesa
L’aspetto più rilevante di tali provvedimenti (giustamente definiti soprattutto Tremonti) è il carattere subalterno che, soprattutto le disposizioni dell’art. 64 L. n. 133/07, hanno rispetto alla scelta del contenimento della spesa.
E’ evidente che la riduzione della spesa prevista nell’art. 64 nella L. n. 133/08 non è rivolta ad alcuna forma di razionalizzazione; difatti l’art. 64 ha stabilito “a priori” che nel prossimo triennio si deve ottenere una riduzione delle spese per la scuola pari ad € 7.832 milioni e si è limitato ad indicare alcuni settori di intervento, demandando al Governo di individuare con i regolamenti, a prescindere dall’effettive esigenze, altri settori in cui intervenire con la riduzione di spesa.
4.3 Innovazioni per un ritorno al passato e per una “didattica governativa”: insegnante unico, voto numerico e rilevanza del voto in condotta per l’ammissione alla classe successiva.
Nella fase di più forte contestazione delle leggi Gelmini il Presidente della Repubblica, oltre a due ex Ministri ed esponenti del PD (Berlinguer e Bassanini) sono intervenuti, sostenendo che la scuola deve rinnovarsi e che non si può stare fermi.
Affermazioni in astratto condivisibili, ma che richiedono opportune precisazioni: anzitutto il “rinnovamento” non è di per se un valore; bisogna valutare in quale direzione si rinnova.
Le leggi Berlinguer senza dubbio hanno “rinnovato”, ma nel senso della aziendalizzazione e privatizzazione del sistema scolastico; le modifiche alla Costituzione, proposte da Berlusconi e bocciate con il referendum del 2005 senza dubbio “rinnovavano”, ma introducevano una forma di governo autoritaria.
Il “nuovismo” non è quindi un valore in sè.
Peraltro le leggi Gelmini senza dubbio “rinnovano”, ma per tornare indietro, intervenendo inoltre pesantemente in un settore del nostro sistema scolastico, come la scuola primaria, unanimamente apprezzato, anche a livello internazione.
La reintroduzione dell’insegnamento unico nella scuola primaria, del voto numerico nella valutazione nella scuola secondaria di primo grado e il ripristino dell’incidenza del voto in condotta ai fini dell’ammissione alla classe successiva, non sono innovazione, sono un ritorno al passato.
Sul ripristino dell’insegnante unico l’argomento principe a sostegno dell’”innovazione” era quello di evitare lo spreco di due maestri per ciascuna classe!
Ovviamente qualsiasi modello didattico si può discutere e quindi anche il modello a modulo, introdotto con la riforma del 1990 dopo un ampio dibattito a tutti livelli; non è però tollerabile che un intervento così pesante sull’organizzazione didattica della scuola primaria (talché la Commissione Cultura della Camera dei Deputati nel parere formulato dalla stessa maggioranza aveva in qualche modo proposto dei correttivi) possa essere introdotto senza alcun confronto con il mondo della scuola (il CNPI ha espresso un giudizio assolutamente negativo sotto il profilo didattico e pedagogico) e con gli esperti; ma soprattutto è inaccettabile che il Ministro possa intervenire con un proprio modello didattico, violando in modo palese e pesante l’autonomia del sistema scolastico; si è cioè introdotto la “didattica ministeriale”.
Le stesse considerazioni valgono per la reintroduzione del voto numerico e dell’incidenza del voto in condotta; non sono soltanto un ritorno al passato, ma sono segnali emblematici (come del resto l’insegnante unico) di una scuola non per la promozione culturale di tutti, anche degli alunni più problematici, ma per la selezione; la sostituzione nella scuola secondaria di primo grado del giudizio con il voto numerico ha difatti questo segnale; la scuola giudica e seleziona, laddove il giudizio rappresenta invece il senso di una scuola in cui la valutazione è funzionale agli interventi che si devono adottare per consentire il recupero di eventuali ritardi e più in generale garantire a tutti anche con percorsi individualizzati e con i tempi necessari una promozione culturale.
Ma ciò che è più grave che, a fronte di tali indebite “innovazioni” ministeriali nell’ambito delle scelte della didattica, nessuno abbia contestato il potere del Ministro e/o del Governo di potere intervenire su tale terreno.
Si è contestata la scelta nel merito; non pare però che sia stata contestata l’indebita ingerenza del Ministro/Governo nella didattica della scuola.

4.4 Altra innovazione introdotta dalla Gelmini per allineare la scuola italiana a quella degli altri Paesi: ridurre il numero degli insegnanti e del personale ATA.
Nei dibattiti sulle leggi Gelmini si è continuamente ripetuto che nella scuola italiana per venire incontro alle richieste sindacali non solo si sarebbe introdotto il doppio insegnante per ciascuna classe della scuola elementare, ma che in generale ci sarebbe un rapporto studenti – insegnanti molto più basso degli altri Paese europei.
A parte il fatto che il rapporto con gli altri Paesi di per sè non dice nulla perchè potrebbe anche dimostrare un’inadeguatezza degli altri Paesi; si deve comunque osservare:
a) che i confronti non si basano su dati omogenei; difatti nel nostro Paese giustamente rientrano nell’ambito dell’attività della scuola, insegnanti docenti e personale ATA, in altri Paesi tali attività (per es. sostegno, assistenza alla mensa, ecc.).
b) nel nostro Paese la scuola dovrebbe svolgere istituzionalmente la funzione di una formazione culturale di massa e tale finalità richiede non solo risorse finanziarie adeguate, ma anche un’adeguata disponibilità di personale superiore a quella attualmente disponibile.

4.5 I regolamenti della Gelmini. Estromissione del Parlamento e delle regioni ed indebita ingerenza nell’autonomia didattica della scuola.
I provvedimenti della maggioranza di Governo non solo stravolgono l’attuale assetto scolastico, già duramente colpito dalla politica dei precedenti Governi, ma segnano un’ulteriore svolta rispetto ai principi costituzionali.
Difatti i tagli così pesanti che incidono profondamente nell’assetto organizzativo e didattico della scuola e le cd “innovazioni” non solo sono stati introdotti senza alcun coinvolgimento del mondo della scuola, ma sono stati introdotti con modalità e percorsi eversivi rispetto ai principi costituzionali e purtroppo nel silenzio assordante del Presidente della Repubblica.
In primo luogo tali provvedimenti sono stati adottati con decreti legge e quindi mettendo già il Parlamento di fronte al fatto compiuto.
Ma ciò che è più grave è che sono stati sottoposti all’approvazione del Parlamento con il voto di fiducia, impedendo in tale modo ogni possibile dibattito.
Ma il vero e proprio golpe si è realizzato con l’approvazione della disposizione che delegava al potere regolamentare del Governo ex art. 17 L. n. 400/88 la disciplina di molti aspetti “ordinamentali, organizzativi e didattici” del sistema scolastico, espropriando il tale modo il Parlamento nel ruolo primario ed esclusivo che la Costituzione gli assegna per quanto riguarda le “norme generali dell’istruzione”.
Difatti l’art. 64 della L. n. 133/08 nel delegare al Governo il potere regolamentare per provvedere ad una revisione “anche modificando le disposizioni legislative vigenti …. dell’attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico”, non ha stabilito alcun principio o criterio al quale il Governo si sarebbe dovuto attenere; l’art. 64 si limita difatti ad indicare i settori dei possibili interventi e l’unico obiettivo definito: ridurre la spesa.
In conclusione: “ ”.
a) “le norme generali” che la Costituzione attribuisce alla competenza legislativa del Parlamento, sono state arbitrariamente attribuite con la decretazione di urgenza all’Esecutivo.
b) Tale delega all’Esecutivo comporta peraltro il potere di modificare con regolamenti anche norme di legge.
c) Tale delega senza alcun termine e senza alcun criterio predeterminato comporta una vera e propria “delegificazione” per effetto della quale le norme generali dell’istruzione possono essere disciplinate anche in futuro dal Governo.
d) L’autonomia del sistema scolastico che in primo luogo dovrebbe essere garantita proprio dalle ingerenze dell’Esecutivo, è stata palesemente violata, consentendo al Governo di dettare disposizioni di ordine didattico ed ordinamentale.
Si configura quindi una scuola governativa ministeriale, caratteristica propria dei regimi autoritari.
L’attuale maggioranza di Governo non solo ha esautorato il Parlamento, ma al fine di mantenere il pieno controllo del sistema scolastico ha invaso anche la competenza legislativa demandata, ex art. 117 del Titolo V, alle Regioni.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 13/04 ha definito l’ambito demandato dalla Costituzione, nel testo novellato del Titolo V, alla potestà legislativa concorrente delle Regioni con riferimento in particolare all’organizzazione territoriale del sistema scolastico; per effetto dell’art. 64, comma 4, lett. f bis) e f ter) tale competenza è stata però sottratta alle Regioni e delegata al potere regolamentare del Governo.
Ma non solo sono stati esautorati il Parlamento e le Regioni, ma finanche l’autonomia delle istituzioni didattiche.
La Corte Costituzionale difatti con la sentenza n. 13/04 ha, tra l’altro affermato:“tale autonomia non può risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni siano lasciati adeguati spazi di autonomia che le leggi statali e quelle regionali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare”.
L’organizzazione didattica della scuole può essere definita nelle linee generali dal legislatore e nel rispetto dell’autonomia del sistema nel suo complesso; spetta dopo alle istituzioni scolastiche nell’ambito di tali “norme generali” definire nell’esercizio dell’autonomia riconosciuto dall’art. 117 Cost. gli specifici aspetti organizzativi e didattici; con i regolamenti il Governo, oltre a sostituirsi al Parlamento nella definizione delle norme generali, detta anche disposizioni specifiche che sono invasive dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

4.6 Il ddl Aprea: l’epilogo del processo di privatizzazione ed aziendalizzazione del sistema scolastico.
Il processo di aziendalizzazione e privatizzazione del sistema scolastico avviato con molte ambiguità da primo Governo Prodi, grazie alla “modernizzazione” introdotta dal Ministro Berlinguer ha il suo logico sbocco nel pdl Aprea già all’esame del Parlamento.
Patroncini illustrerà tutti aspetti devastanti di tale proposta; sarà pertanto sufficiente rilevare che, tra l’altro, si prevede:
la possibilità di trasformare le istituzioni scolastiche in fondazioni; in tal modo ci saranno le scuole-fondazioni sostanzialmente privatizzate e con maggiori disponibilità economiche e scuole statali con risorse minime e destinate agli alunni con minori possibilità economiche;
la trasformazione dei consigli scolastici da organismi rappresentativi di democrazia in Consigli d’Amministrazione con rappresentanti esterni del mondo dell’economia, del lavoro ecc.
la nomina dei docenti a livello di ciascun istituto con l’evidente scopo di rafforzare il ruolo manageriale del Dirigente scolastico e la posizione di subordinazione del personale scolastico.

5- Il “Federalismo fiscale”

Un provvedimento di cui si è finora parlato molto poco, soprattutto nel mondo della scuola è il ddl su “federalismo fiscale”; come se si trattasse di un provvedimento di carattere tributario e quindi ininfluente per quanto riguarda la scuola.
Se però si esamina attentamente il testo del ddl e soprattutto la relazione che l’accompagna, risulta evidente che il ddl non solo riguarda la scuola, ma che da per presupposto che per effetto della modifica del titolo V, la scuola sia stata “regionalizzata”.
Di conseguenza il ddl disciplina il trasferimento alle Regioni dei tributi necessari per sostenere la relativa spesa nel presupposto che la gestione della scuola e quindi anche il personale della scuola si debbano considerare trasferiti alle regioni.
La proposta di devolution, a suo tempo proposta dalla maggioranza di destra nel testo di modifica della Costituzione e bocciata con il referendum costituzionale del 2005, ora, con l’interpretazione del ddl sul “federalismo fiscale”, è reintrodotta di fatto.
Peraltro il ddl prevede che i tributi trasferiti alle Regioni in relazione alle funzioni trasferite ex art. 117 Cost. saranno determinati per garantire “i livelli essenziali” con riferimento alla “spesa storica” cioè alla spesa finora sostenuta dallo Stato per dette funzioni; di conseguenza i tagli effettuati con i provvedimenti adottati ex art. 64 L. n. 133/08 saranno determinanti anche ai fini della definizione delle risorse da trasferire a ciascuna Regione ; ovviamente il trasferimento di tali tributi rappresenta il livello minimo che lo Stato garantisce a tutte le Regioni; ciascuna Regione con le proprie entrate potrà ovviamente incrementare le risorse derivanti dai tributi determinati dallo Stato; in tal modo la spesa per la scuola non sarà determinata in base alle esigenze delle diverse realtà locali, ma dalle diverse disponibilità di risorse finanziarie; le Regioni con maggiori disponibilità avranno una scuola con più risorse, le Regioni con minori disponibilità (e di solito con maggiore esigenze di istruzione) avranno minori risorse; la scuola che per la Costituzione dovrebbe essere la scuola per l’uguaglianza, sarà in tal modo la scuola per accentuare le disuguaglianze.
Purtroppo questo percorso avviene nell’assoluta disattenzione di tutti e con il consenso del PD!

6- Che fare?

6.1 Il quadro politico-culturale del nuovo Paese e carenza di iniziativa politica.
La cultura del mercato non è una prerogativa delle destre; tale cultura è largamente penetrata in molti settori della sinistra ed in particolare nel PD; è significativo che, a fronte di una forte mobilitazione di massa contro le leggi Gelmini, ha fatto riscontro un’opposizione delle forze parlamentari e di quelle extra parlamentari molto debole e di nessuna concreta incidenza.
Col pretesto del rispetto per l’autonomia dei movimenti le forze politiche sono state sostanzialmente assenti; in occasione della grande manifestazione del 25 ottobre il segretario del PD Veltroni lanciò, forse troppo avventatamente, la proposta del referendum abrogativo delle leggi Gelmini.
Era una proposta avventata perché, come è a tutti noto, l’art. 75 preclude il referendum per le leggi di bilancio (e l’art. 64 della L. n. 133/08 e lo stesso art. 4 della L.n.169/08 sono leggi di bilancio volte alla riduzione della spesa pubblica); ma non solo di tale proposta non si è saputo più nulla, ma non c’è stata finora alcuna iniziativa alternativa.
Né è chiara la proposta politica per la scuola del PD; è ancora quella del documento “Una nuova idea per la scuola” che ha dato i risultati che sono sotto gli occhi di tutti?
C’è un qualche ripensamento? Sarebbe opportuno cominciare a confrontarsi; anche se alcuni segnali vanno in direzione opposta (v. voto recente per il contributo alle scuole non statali!).
Il PD si è battuto in Parlamento affinché fosse restituito alle scuole non statali il contributo statale di € 133 milioni che il Governo nella finanziaria dell’estate aveva soppresso.
Ma se si deve registrare l’assenza di iniziativa politica da parte delle forze di opposizione parlamentare, non più presenti sono quelle non parlamentari che sembrano ancora più interessate ad alimentare le divisioni tra di loro senza rendersi conto dell’assenza nella scena politica.

6.2 In primo luogo rilanciare con convinzione e fermezza i principi costituzionali
In tal senso è necessario chiarire per quanto riguarda la scuola l’equivoco soprattutto su scuola statale e scuola pubblica e sulla questione della regionalizzazione che trova consensi in molte parti del centro sinistra e dell’Accademia.
La Costituzione tutta, pur sempre invocata, è invece sempre sotto tiro;la prima parte è costantemente violata con la legislazione ordinaria, per la II parte si susseguono le proposte di modifica che nella sostanza trovano larghi consensi nelle forze politiche di maggioranza e di opposizione presenti in Parlamento.
La Legge Gelmini n°169/08 ha previsto all’art. 1 l’insegnamento della Costituzione, in modo molto ambiguo e militato; sarebbe opportuno con impegno comune del mondo della scuola e dei Comitati per la difesa della Costituzione di portare nelle scuole la Costituzione, illustrando in particolare anche il rilievo che la scuola ha nella Costituzione.

6.3 Il movimento delle scuole e’ importante, ma non può essere autosufficiente: necessità di un impegno unitario di forze politiche, organizzazioni e movimenti
Senza dubbio il movimento della scuola per la dimensione che ha avuto è stato molto importante; ma un movimento, pur ampio e motivato, se non ha riferimenti istituzionali, incide poco e nel tempo tende inevitabilmente a ridurre la propria consistenza ed incidenza.
Ovviamente spetta al movimento decidere tutte le iniziative più opportune e se e come avviare relazioni con le associazioni e le forze politiche.
Il Comitato ritiene opportuno per intanto rilanciare il ruolo negli organi collegiali per una conquista nelle scuole di spazi di partecipazione democratica e per una puntuale contestazione nelle scuole delle proposte contenute nei regolamenti.
Si potrebbero rilanciare i regolamenti di istituto con l’indicazione puntuale dei poteri degli organi collegiali e dei comitati dei genitori e degli studenti e stimolare la creazione di rete di istituti a livello territoriale per stabilire forme di coordinamento più stabile.

6.4 Le possibili iniziative immediate (a livello politico e legale).
In una introduzione si possono soltanto formulare delle ipotesi da proporre alla discussione; il dibattito dovrà dare indicazioni più precise; per avviare la discussione si possono indicare le seguenti ipotesi:
a) In primo luogo chiedere alle forze politiche in Parlamento la riproposizione unitaria della proposta di legge di iniziativa popolare “per una buona scuola”, ovviamente con gli opportuni aggiornamenti.
I rapporti di forza in Parlamento sono sproporzionati, ma la proposta può essere un concreto punto di riferimento per una ripresa, a livello nazionale, dell’iniziativa politica per la scuola.
b) Sollecitare un incontro con i rappresentanti delle forze di opposizione, anche a livello delle istituzioni locali, per chiedere che in sede di Commissione Unificata i rappresentanti delle Regioni e degli Enti Locali formulino un parere negativo per i regolamenti attuativi dei tagli alla spesa sia per l’invasione delle competenze regionali (alcune regioni hanno impugnato l’art. 64 con ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione); sia per il merito delle scelte.
c) Organizzare l’impugnativa dei regolamenti con ricorso collettivo ai TAR, previa contestazione dei provvedimenti attuativi.
Salvo un più attento esame i regolamenti appaiono contestabili sotto diversi profili:
a) violazione della riserva di legge artt. 33 e 117 lett. n) della Costituzione;
b) violazione dell’art. 117 Cost. per invasione della competenza legislativa della Regione;
c) violazione dell’art. 117 Cost. per invasione della sfera dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.
d) violazione dell’art. 17 L. n. 400/88 che esclude la delega regolamentare con la decretazione d’urgenza
e) Costituire un tavolo nazionale per un coordinamento della contestazione dei provvedimenti attuativi e per dare indicazioni operative sulla contestazione dei provvedimenti attuativi di regolamenti e dell’organizzazione della contestazione ai diversi livelli.
In primo luogo si tratta di organizzare la contestazione del tempo scuola per la scuola primaria secondaria di primo grado sin dal momento delle prossime scadenze per le iscrizioni.

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